Fuga dalla sofferenza


″Lo Jainin, colui che è pervenuto alla conoscenza ultima ed ha avuto la visione dell'Atman in se stesso, non avrà più alcuna sofferenza.″ E' questa un'affermazione che si ritrova molto spesso nei testi di Advaita o Jnana Yoga, un principio che segue quasi letteralmente la via indicata dal Buddha per ottenere la ″liberazione″ dalla sofferenza. Dal punto di vista della non−dualità, la sofferenza sta al suo opposto (il piacere?) come il freddo sta al caldo. E' cioè uno stato del tutto relativo e, nella maggior parte dei casi, temporaneo, ovvero impermanente, come ogni altro stato che può sperimentare l'essere umano. 
Porsi l'obiettivo di evitare una (e una sola) condizione relativa, parte da una premessa di totale identificazione con quella specifica condizione, dunque una premessa di separazione e dualità. Verrebbe da suggerire, piuttosto, l'obiettivo della totale alienazione da qualunque stato, sia la sofferenza sia il suo opposto (ricordiamo le parole di Buddha quando afferma: ″Il piacere genera attaccamento, il dolore genera avversione, il piacere e l'avversione rendono l'essere umano schiavo.″).
Tuttavia, nel gioco della dualità, qualunque motivazione, per quanto fittizia, è accettabile al fine di generare ulteriori forme della manifestazione dell'Atman.
Ben venga, dunque, prendersela con la sofferenza, se ciò può servire a creare diversificazione all'interno dell'unico processo chiamato realtà.